
In Cina, a partire dal 27 novembre, moltissime persone sono scese per le strade in quella che può essere considerata la più grande manifestazione dai tempi dei moti pro-democrazia del 1989.
Tema della manifestazione sono le dure restrizioni anti-covid, che puntano a portare avanti la strategia “Zero covid” del Presidente Xi Jinping, anche mettendo in lockdown intere città.
Queste proteste capitano in un momento molto particolare per la Cina: per la prima volta dalla morte di Mao Tse-Tung (fondatore della Repubblica Popolare Cinese), infatti, un Presidente è stato rieletto a questo ruolo per tre volte. Questa novità garantisce a Xi Jinping di essere uno degli uomini più potenti del mondo, almeno grazie all’approvazione dell’intero Partito Comunista cinese. L’elezione del Presidente, infatti, è decisa dal Congresso del Partito Comunista e Xi Jinping ha dovuto cercare la sua approvazione, circondandosi di uomini fedeli.
L’uomo più potente del mondo, però, sembra non essere più ben accetto da tutti i cittadini della vastissima repubblica.
Le proteste che stanno investendo il Paese, infatti, mettono in dubbio la strategia dello “Zero covid” e le scelte dello stesso Xi Jinping, tanto che i manifestanti ne stanno chiedendo anche le dimissioni.
Si tratta di un evento veramente eccezionale per quanto riguarda la Cina, un Paese che è caratterizzato da un elevatissimo livello di censura e di controllo sulla popolazione, forse secondo solo a quello della Corea del Nord.
I manifestanti che chiedevano le dimissioni del Presidente e la fine del Partito Comunista cinese, infatti, sono stati arrestati, anche se le proteste sono continuate in massa.
Il simbolo di questi moti sono senza dubbio i manifestanti dei fogli bianchi: sono i più pacifici e sono semplicemente coloro che scendono in piazza con un foglio bianco davanti alla faccia che simboleggia la censura che il Partito e il Paese attuano nei loro confronti.
Ma come mai all’improvviso la popolazione cinese ha deciso di ribellarsi?
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata una triste vicenda di cronaca: il 26 novembre a Urumqi, capoluogo della provincia dello Xinjiang (nord-ovest), sono morte dieci persone in un incendio scoppiato in un palazzo di 15 piani.
I soccorsi, infatti, sono arrivati in ritardo per via dei numerosi posti di blocco che controllano le zone in lock-down e gli stessi abitanti del palazzo hanno avuto paura a fuggire per non finire sotto indagine per violazione delle restrizioni. Lo stesso palazzo, forse, era stato addirittura bloccato per contenere un possibile focolaio.
La notizia ha catalizzato la rabbia di molti cinesi e se le prime proteste sono state mosse contro le restrizioni, le manifestazioni di questo fine settimana hanno
anche fatto emergere anche richieste di maggiori libertà politiche in generale.
La reazione delle autorità è stata la solita: censurare il tutto.
Sui social network cinesi, infatti, tutte le informazioni riguardanti le manifestazioni del fine settimana sembravano essere sparite. Sulla piattaforma Weibo, una sorta di Twitter cinese, le ricerche “fiume Liangma” e “via Urumqi”, due dei luoghi di protesta del giorno precedente, non davano alcun risultato legato alla mobilitazione.
I video che mostravano gli studenti cantare e manifestare in altre città sono scomparsi dalla piattaforma WeChat. Sono stati rimpiazzati da messaggi che avvertivano che il post era stata segnalato come “contenuto sensibile contrario al regolamento”.
Marco Donadel
2 pensieri riguardo “Cina: fogli bianchi contro il regime”