Lorenzo Gesuita: grazie a YouTube e all’arte, vi racconto le meraviglie del cervello!

Lorenzo Gesuita sul set della serie, nel Tempio di Segesta.

Lorenzo Gesuita, lissonese classe 1990, è uno di quei ragazzi che, almeno di vista, in città sembra conosciuto da tutti.
Grazie agli anni in oratorio prima e al lungo lavoro con la compagnia de “I Fuggitivi” poi, con la quale ha calcato il palco per oltre 9 anni.
Lorenzo nasce artista, diventa scienziato e adesso all’arte ritorna grazie a una webserie disponibile su YouTube. L’argomento? La meraviglia del nostro cervello raccontata attraverso l’arte e la visita a meravigliose città.

Lorenzo, iniziamo questa intervista raccontando innanzitutto chi sei oggi e quali studi stai facendo. Perché, in effetti, sbaglio o in giro a Lissone ti si vede un po’ meno?
L: “Hai ragione Mattia, non vivo più in Italia dal 2015! Sono partito subito dopo la laurea magistrale in biologia, inseguendo il sogno di bambino di diventare uno scienziato. Ho vissuto 6 mesi a Barcellona, lavorando e studiando al CRG – Center for Genomic Regulation. Poi, dopo una breve tappa milanese, ho iniziato il dottorato di ricerca in neuroscienze all’Università di Zurigo, città che ho chiamato casa fino a qualche mese fa. Oggi, concluso il dottorato, casa si è spostata oltre oceano; infatti, vi scrivo da Boston, dove, con mia moglie Sara abbiamo deciso di provare il brivido del famigerato “sogno americano”. Cosa faccio qui? Te lo racconto a fine intervista!

Il Lorenzo che è oggi a Boston è, di fondo, lo stesso Lorenzo che era a Lissone? Prevedi un futuro più a stelle e strisce o conti di ritornare in Italia?
L: “Sì…E no. Nonostante Zurigo fosse letteralmente dietro l’angolo (con il nuovo traforo del Gottardo, il freccia argento Zurigo-Monza ci mette appena 3 ore!), ho avuto la fortuna di trovarmi circondato da mezzo mondo. Il centro di ricerca dove ho lavorato per quasi 6 anni, all’interno dell’Università di Zurigo, è un luogo incredibilmente internazionale, dove ho stretto forti amicizie con gente da ogni angolo della Terra e questo, inevitabilmente, ti cambia: il mondo diventa più piccolo, le distanze -anche quelle mentali- si accorciano, impari ad apprezzare le diversità tra le culture e ti accorgi che, in fondo, non sono poi così diverse.
Detto questo, dall’Italia non me ne sono mai realmente andato. Nel 2013, nello stesso momento in cui mettevo piede per la prima volta in un laboratorio scientifico, fondavo, insieme ad un affiatatissimo gruppo di amici, la compagnia teatrale dei Fuggitivi, della quale sono regista. Come dicevo, Zurigo è dietro l’angolo, e, per tutto il tempo che ho vissuto lì, ho fatto avanti e indietro almeno un paio di weekend al mese perché non avrei mai potuto fare a meno del teatro e degli amici con cui lo faccio.

Il Lorenzo che oggi vi scrive da Boston è ancora legato all’Italia e a Lissone. Stavolta, non sono dietro l’angolo e non esistono nemmeno voli diretti Boston-Milano. Ma se c’è una cosa che ho imparato in questi anni è che le distanze esistono prima di tutto nella nostra testa. Seppur con fatica, il mio cammino con i Fuggitivi e con Lissongeles (come la chiamiamo in compagnia), continua.
Ora, se mi chiedi del futuro a lungo termine, sono certo sarà un futuro tricolore. Ma cosa faccio qui a Boston, te l’ho detto, ne parliamo a fine intervista.

Sicuramente sei un amante dell’arte, per cui il viaggiare potrebbe far parte anche in futuro della tua vita. Anche solo per svago…
L: “Sarò sincero: non penso di essere nato con l’indole del viaggiatore. Quella l’ho imparata da Sara, mia moglie, che invece è una vera forza della natura! Sono abbastanza convinto che, se non fosse stato per lei, forse ora sarei ancora in Italia…E chissà cosa starei facendo! Mi sono interrogato spesso su questa cosa, specialmente tutte le volte che saltavo sul treno per tornare a Lissone e provare coi Fuggitivi. Mi chiedevo: se non fossi mai partito, come sarebbe il mio rapporto col teatro? Infatti, la distanza ha creato un legame speciale perché tutti quanti in compagnia hanno dovuto fare uno sforzo doppio per far funzionare le prove. Oggi il mio rapporto a distanza con Lissone è certamente più complicato, ma è sicuramente più forte ed autentico.

Un’immagine dalla webserie The Beautiful Brain

Partendo dal tema del viaggio, mi ricollego al tuo nuovo progetto: la webserie di YouTube “The beautiful brain”. Ci porti letteralmente nella dimensione microscopica del cervello, ma raccontandoci il piccolo mentre viaggi per le enormi vie di Barcellona o ti muovi fra l’arte di Firenze e i canali di Venezia. Da dove nasce l’idea per questa serie? Raccontaci qualcosa anche dei contenuti.
L: “Nasce dal bisogno di raccontare la mia vita di tutti i giorni. Ho passato 9 anni in laboratorio, studiando come si sviluppa il nostro cervello, un processo incredibilmente affascinante. Nel nostro cervello ci sono 100 miliardi di cellule… Tante quante le stelle nella Via Lattea. Un numero allucinante! Come fanno 100 miliardi di cellule a combinarsi per costruire il computer più complesso di tutto l’universo conosciuto? Questa è la domanda che mi ha tenuto incollato al bancone a Milano, a Barcellona ed infine a Zurigo. Ebbene, quando mi trovo a raccontare ciò che studio ad amici e conoscenti, mi sento spesso dire: “Quindi stai studiando qualche modo per curare una malattia, chessò… L’Alzheimer?”. Qui devo aprire una parentesi: esistono due modi di fare ricerca. Prendiamo proprio il cervello come esempio. Puoi studiare una malattia del cervello, come ad esempio il morbo di Alzheimer, e cercare un cura per quella malattia: questa si chiama “ricerca applicata”. Oppure puoi scegliere di focalizzarti sul cervello sano, di cui sappiamo veramente poco, e studiare come si sviluppa o come funziona: questa si chiama “ricerca di base”. Io mi sono occupato proprio di questo: capire come succede che una manciata di cellule si sviluppi fino a formare la sede dei nostri pensieri, delle nostre emozioni e delle nostre scelte. Tuttavia, quando mi trovo a parlare della mia ricerca di base, mi viene sempre chiesto di speculare su come le mie (pochissime) scoperte possano essere utilizzate, in futuro, per trattare una qualche malattia. Sono bel felice di farlo, ma è davvero un peccato, perché ogni volta che questo accade, perdo l’occasione di raccontare l’inimmaginabile bellezza della natura. Proprio da qui nasce l’idea di una serie web che racconti il cervello per quello che è: un capolavoro di madre natura, il risultato di un processo perfetto, complesso ed affascinante. L’arte ha il potere di stupire ed emozionare. In questa serie usiamo l’arte per predisporre lo spettatore a riconoscere la bellezza del cervello.

A livello tecnico i video sono molto belli, ci sono riprese curate e un uso sapiente delle musiche. Sicuramente l’essere stato regista di teatro aiuta, ma i due settori sono ben diversi e infatti hai avuto dei collaboratori. Ci racconti qualcosa di loro e di come li hai coinvolti?
L: “Grazie! Assolutamente, il teatro ha aiutato, se non altro nell’immaginarmi come raccontare la storia. Quando guardiamo documentari di questo tipo, vediamo spesso una situazione abbastanza standard: uno scienziato col camicie bianco, immacolato, che fa finta di mischiare soluzioni dai colori sgargianti mentre sullo sfondo passano animazioni futuristiche di cellule 3D e formule matematiche. Questo, oltre ad essere pura finzione, è esattamente ciò che NON volevo fare. Volevo una serie dove l’arte fosse protagonista al 100%; per intenderci, dei video che, se visti senza audio, potessero esser scambiati per una serie su Firenze, Barcellona, Venezia, ecc… Insomma, un progetto ambizioso che da solo non sarei mai stato in grado di realizzare. Infatti, The Beautiful Brain nasce dalla collaborazione di un team altrettanto beautiful, a cominciare da due fantastici neuroscienziati che mi hanno aiutato nello scrivere la sceneggiatura. Sara Bottes – che nel tempo è stata collega, amica, fidanzata ed ora moglie – e Daniel Gonzalez, collega e amico durante il dottorato a Zurigo. La magia del cinema, invece, è tutta opera di tre talentuosissimi lissonesi doc, Matteo Cavalletto, Pietro Cavalletto e Edoardo Falasco, che hanno capito alla perfezione i nostri pensieri e li hanno tramutati in immagini più che degne dell’ambizioso titolo. Con Edoardo esiste un’amicizia di vecchia data nata sul palcoscenico e diventata poi un sodalizio regista-direttore tecnico di tutti gli spettacoli dei Fuggitivi. Infine, il mio capo durante il dottorato, il prof. Theofanis Karayannis, che mi ha fatto il dono più grande: il tempo da investire nella produzione della serie, oltre che la fiducia ed un generoso contributo economico.

Ecco, visto che a Lissone anche noi giovani siamo molto pragmatici, ti faccio una domanda molto poco poetica: quali sono questi costi? Perché per un progetto così serve un piano di produzione dettagliato e anche una ricerca di un sostegno economico, immagino…
L: “A domanda diretta, ti rispondo senza troppi giri di parole: quasi 25.000 euro. Sapevamo fin dall’inizio che sarebbe stato un progetto relativamente costoso, ma la cosa non ci spaventava. La Svizzera è notoriamente un paese ricco, e lo stesso vale per i fondi investiti nella ricerca e nella cosiddetta Science Communication, ovvero quei progetti di divulgazione che raccontano al grande pubblico cosa accade nei laboratori di ricerca. Eravamo così sicuri della forza del nostro progetto che non avevo dubbi saremmo riusciti a trovare dei finanziatori. Così abbiamo provato a fare il cosiddetto “colpaccio”, scrivendo un progetto di finanziamento (in gergo, un grant) chiedendo l’intera cifra ad un fondo svizzero. E, come spesso accade, non è andata come pensavamo. Il progetto è piaciuto, ma non abbastanza da essere finanziato. Pertanto, abbiamo deciso di modificare la nostra strategia. Abbiamo partecipato ad un concorso più piccolo con maggiori probabilità di vittoria, così da vincere abbastanza soldi per produrre un episodio pilota. Poi, abbiamo usato quell’episodio per convincere altri finanziatori a produrre gli altri 4 episodi. Ma ciò di cui andiamo particolarmente fieri è il fatto di aver raccolto 7.252 euro tramite una campagna di crowdfunding a cui hanno partecipato 109 persone.

Quali sono le ambizioni di questa serie?
L: “È, prima di tutto, un inno alla bellezza… Vorremmo che la gente, guardando la serie, si lasciasse trasportare dalla bellezza dell’arte per imparare ad apprezzare la bellezza di madre natura.
Poi, è anche un documentario che racconta alcuni aspetti poco conosciuti del cervello, dei concetti che sono spesso riservati agli addetti ai lavori.
Ed infine, ed è la cosa secondo me più interessante, è un documentario che non racconta “fatti”, ma “concetti”, ovvero ti descrive i principi che sono alla base dello sviluppo del nostro cervello, le regole che vengono seguite per completare, passo dopo passo, un progetto molto complesso, ma che si ripete ogni volta che un bimbo e una bimba vengono concepiti. E, nonostante il progetto sia così complesso, credo che lo spettatore rimarrà stupito nel vedere quanto semplici, logiche ed intuibili siano queste regole.

Ultima domanda: quali sono i tuoi progetti futuri?
L: “Ho amato fare ricerca, penso sia uno dei lavori più affascianti al mondo (ovviamente sono di parte). Lo scienziato passa la vita camminando sul confine tra la conoscenza e l’ignoto, immaginando cose che non sono mai state immaginate, facendosi domande che non sono mai state formulate prima. Ma c’è una cosa che amo fare tanto quanto la ricerca, ed è raccontare storie. Ed è proprio questa seconda passione che mi ha tenuto legato per tutto questo tempo a Lissone, dove, attraverso il teatro, non ho mai smesso di dare sfogo alla voglia di parlare al pubblico. Ed è per questo che ho deciso di provare a fondere scienza e comunicazione, facendo della divulgazione scientifica il mio lavoro. Qualche mese fa Sara ha avuto una fantastica occasione lavorativa qui a Boston: lei continuerà a lavorare come ricercatrice per un importante istituto di ricerca. Io, invece, colgo l’occasione di trovarmi in uno dei centri d’istruzione più importanti del mondo per cambiare lavoro ed iniziare una nuova carriera. Ed è qui, caro Mattia, che mi trovi nel momento in cui mi fai questa domanda: impegnato nella “job hunt”, mentre faccio colloqui e mando curriculum, cercando di far valere le cosiddette “transferable skills”, così preziose quando si sceglie di cambiare carriera. Forse, se mi avessi intervistato tra un paio di mesi, avrei potuto raccontarti qualche dettaglio in più sui miei progetti futuri. Ora, invece, mi trovi in attesa, come quando capiti sulla casella “transito” del monopoli, quella che passa a fianco della prigione, pronto a rilanciare i dadi. Sarà la mossa corretta? Il rischio di finire in prigione, di fare un passo falso, c’è, ma forse me la cavo; forse arrivo illeso al “via”, pronto per ripartire per la mia prossima avventura.

Allora, Lorenzo, ti salutiamo augurandoti che – citando il teatro, caro sia a te che a me – arrivi presto un bel colpo di scena che risolva questa situazione di stallo momentaneo! Oppure, rifacendoci al Monopoli che citavi tu, ti auguriamo di pescare un biglietto vincente dal mazzo degli “imprevisti”!
Grazie ancora per la disponibilità, ci rivediamo a Lissone appena sarai di passaggio!



Mattia Gelosa

Clicca qui per vedere la webserie di Lorenzo:_ “The Beautiful brain”!

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