
In questi primi tre mesi del nostro blog abbiamo raccontato alcuni Under 35 top, abbiamo lanciato campagne in favore della gentilezza, abbiamo riflettuto su diversi temi, ultimo dei quali, nella rassegna podcast “Voce di un amico”, quello delle città su misura.
L’intervista che vi regaliamo oggi è una sorta di riassunto di tutto quanto fatto sinora, perchè il nostro ospite è il 34enne Matteo Comi, un atleta ipovedente che ha dedicato e sta dedicando enormi risorse per realizzare i propri sogni.
Buongiorno Matteo e benvenuto tra gli Under35 top identificati dal CPDL! Tu oggi rappresenti le persone che stanno inseguendo un sogno e il tuo è sicuramente legato allo sport. Ci racconti in breve chi sei e qual è la tua carriera sportiva?
M: “Grazie Mattia per questo invito e grazie al mio amico Francesco Radice, che so che vi ha proposto il mio nome! Sono Matteo Comi, ho 34 anni e sono un atleta ipovedente che si è dedicato soprattutto a tre sport: dal 2012 baseball per ciechi, dal 2013 atletica paralimpica e dal 2014/15 al 2019 scherma paralimpica.
Ho iniziato tardi la mia carriera per motivi legati alla mia patologia, ma devo ammettere di avere trovato un ambito nel quale buttare tutta la mia dedizione!”
Ecco, partiamo dall’atletica, perchè hai ragione: ti ha proposto per questa intervista il nostro amico Francesco Radice! Lui è stato la tua prima guida nell’atletica e mi ha raccontato un aneddoto carino circa una gara a Grosseto…Ricordi qualcosa?
M: “Il Fra è stato mio compagno di università a fisioterapia, la mia prima guida e il compagno di molte gesta! L’episodio che cita Francesco è quello della nostra prima gara assoluta di campionato, a Grosseto nel 2013. Come sapete, alle gare ci si approccia con alcune regole fondamentali: riposati, con una buona colazione nello stomaco, in anticipo rispetto ai tempi.
Sul dormire eravamo pronti, Francesco poi è uno specialista della disciplina! Anche la colazione era stata regolare, ma poi ci siamo accordi che la squadra ci aveva dimenticato in hotel! Ci siamo dovuti fare parecchi chilometri a piedi con tutti i borsoni in spalla per arrivare al campo gara…Avevamo già fatto un bel riscaldamento e forse è anche grazie a quello che siamo arrivati secondi con il nostro miglior tempo assoluto!
Con Francesco ne abbiamo combinate parecchie…Spesso portavamo anche una cassa portatile per fare riscaldamento con musica alternata, truzza o rock duro, scatenando l’ilarità e la perplessità degli altri atleti!”
Matteo, noi del collettivo siamo persone dirette e quindi anche le nostre domande un po’ lo saranno. L’idea del baseball per ciechi ci ha incuriosito parecchio, perchè ci sembra impossibile poter praticare quello sport senza vedere: a livello tenico e sensoriale, come sopperite alla mancanza della vista?
M: “Il baseball per ciechi nasce negli anni ’90 in Italia grazie ad ex sportivi della Amaro Montenegro, squadra appunto italiana di questo sport. Si gioca sullo stesso diamante del baseball normale e si usa una pallina sonora perchè la si possa identificare. Anche la prima base suona, mentre le altre hanno cuscinetti più morbide per riconoscerle e le corsie su cui si corre sono fatte di terra rossa. Qui è la sensibilità tattile dei piedi che ti dice se stai seguendo la traiettoria giusta o se stai finendo fuori. La casa base va raggiunta proprio entrando tra due bollini che delimitano la corsia, altrimenti si viene eliminati.
Oltre a udito e tatto c’è poi la percezione del corpo nello spazio: nelle basi si deve intuire dove si trova il corridore per passare la pallina alla giusta base e passarla al compagno che può quindi chiudere la strada a chi corre ed eliminarlo. Ecco, chi riceve la palla è vedente, quindi questo sport è anche molto inclusivo!”
E nell’atletica? Si va in fiducia con la guida?
M: “Sì, la fiducia è fondamentale, perchè guida e atleta sono uniti da un cordino e quindi l’atleta deve capire dove e come correre seguendo le percezioni del cordino. Allenarsi tanto è importantissimo perchè quando hai fiducia della guida inizi a correre davvero forte, rilassato e decontratto.”
Lo sport paralimpico è una macchina complessa, ma in Italia sappiamo che i fondi per lo sport sono sempre scarsi, salvo casi rari. Pensiamo alle donne del calcio, è da pochissimo che le atlete della nostra nazionale sono state considerate professioniste! Come funziona a livello di finanziamenti nel settore paralimpico, intervengono sempre i privati a mettere una pezza?
M: “Gli atleti paralimpici in Italia sono parte dei gruppi come le Fiamme Gialle o le Fiamme Oro se sono di livello internazionale e quindi possono garantire medaglie almeno a livello europeo. Altrimenti sì, le società sono quasi tutte attività sportive dilettantistiche finanziate da sponsor o da bandi, ma anche noi atleti a volte investiamo su noi stessi.”
Parliamo di inclusività, a livello generico, che è un tema caldo. Usciamo dall’ottica sportiva ed entriamo in quella delle relazioni umane: ci sono delle attenzioni che sarebbe bene avere nei confronti di un ipovedente? Ci sono gesti che magari involontariamente le persone fanno con voi e che invece andrebbero evitati perchè danno fastidio o mettono a disagio? Te lo chiedo proprio come lezione personale…
M: “L’inclusività è un tema trasversale, ad esempio nella scherma ipovedenti e non vedenti possono gareggiare assieme e sulle stesse pedane delle persone vedenti.
Io vivo a Milano e la città è all’avanguardia, sia a livello di agevolazioni per noi che di mentalità. Io arrivo da un paesino di provincia tra la Brianza e la bergamasca e lì la situazione era naturalmente più complicata.
Quanto ai gesti, quando siamo in presenza di un disabile visivo la cosa peggiore da fare è stare in silenzio, perchè lui percepisce qualcuno, ma non sa bene dove sia e questo lo mette in difficoltà.”
Ecco, Milano sicuramente è pronta, ma uno dei grandi difetti delle nostre città è la massiccia presenza di barriere architettoniche. Si parla sempre di investimenti per rimuoverle, ma sembra che l’Italia sia sempre indietro. Sbaglio?
M: “No, il tema è sempre di attualità. L’avanzata è lenta, vero, ma è costante. L’importante è non abbassare mai la guardia e sensibilizzare i cittadini non disabili ad esempio a non parcheggiare negli stalli gialli. Altro esempio sono le stazioni o gli aeroporti: ci sono dei veri e propri sentieri a terra tracciati per guidare i non vedenti, ma le persone non se ne accorgono e ci camminano sopra o vi sostano come se fossero solo dei segni a terra senza significato, non sapendone la vera funzione.”
Matteo, torniamo alle cose belle…Hai degli sport che vorresti provare? Hai un sogno che vorresti realizzare, di quelli un po’ folli come un lancio col paracadute o un giro al Mugello dietro a Valentino Rossi (o Pecco Bagnaia, per stare nell’attualità)?
M: “Sono un grande fan di Valentino e un grande sognatore, tanto sognare non costa nulla! A livello sportivo il mio sogno sono le paralimpiadi, ormai non più come atleta, ma in qualche altra veste forse ce la potrei fare…Sogno anche di scrivere un libro sulla mia carriera sportiva, per raccontare la mia storia, i miei aneddoti e le persone che sono state con me. Non mi dispiacerebbe, però, anche provare un kart o una monoposto a ruote scoperte: mi hanno sempre affascinato!
Infine, essendo io un romantico, sogno che la mia compagna possa tornare a fare quello che amava, come andare in canoa.”
Domanda finale e di rito: progetti per il futuro? Come ti vedi tra cinque anni?
M: “Io sono una persona che media tra la pianificazione e il vivere alla giornata, perché oggi è difficile fare progetti e viviamo tutti in modo frenetico. Sicuramente tra cinque anni mi vedo ancora impegnato a divertirmi nel baseball, come capitano della mia squadra e poi in futuro in società, per aiutare i più giovani.
Il mio motto è: Nulla è impossibile, se ci credi! Quindi chissà, magari troverò altre sfide da affrontare!”
Un grazie a Matteo per la preziosa testimonianza e un grande in bocca al lupo per le sue attività! Noi speriamo, entro fine anno, di riuscire a farvi avere anche l’intervista integrale in formato audio!
Mattia Gelosa