Carolina Orlandi: è bello sentirsi chiedere “Come stai?”

Carolina Orlandi, classe 1992, è una giovane scrittrice e una influencer che combatte per una causa civile e personale: Carolina, infatti, è la figlia di David Rossi, responsabile della comunicazione di Monte dei Paschi di Siena morto suicida nel 2013. La ragazza, però, non crede a questa ipotesi e ha iniziato una lotta per ottenere la verità che ancora non è terminata.
Noi del CPDL l’abbiamo intervistata per farci raccontare la sua vita e la sua vicenda da un punto di vista soprattutto emotivo e personale.

Ciao Carolina e grazie per questa intervista, innanzitutto. Il nostro è un progetto dedicato ai giovani, quindi tieni presente, nelle tue risposte, di rivolgerti soprattutto ai tuoi coetanei o anche a chi ha qualche anno meno di te!
La prima domanda che ti facciamo, è apparentemente molto semplice: come stai e quali sono i progetti su cui stai lavorando adesso?

C: “È sempre bello che qualcuno ci chieda “Come stai?” È una domanda che crescendo ci facciamo sempre molto meno, perché è sempre più difficile rispondere. Sento che ho bisogno di rallentare, cosa che probabilmente non mi sono mai concessa negli ultimi dieci anni. Quindi direi bene, anche solo per essere riuscita a decifrarlo. Ho appena concluso il mio ultimo lavoro nella comunicazione politica, alla Camera dei deputati, che ho portato avanti per due anni. Adesso è il momento di ricaricare le energie e di dedicarmi alla scrittura, prima della prossima avventura.”

Tu hai quasi 25K follower su Instagram e dal tuo profilo vediamo subito che hai due grandi passioni: quella per i viaggi e quella per la cucina, intesa anche come ricerca di un’alimentazione sana e sostenibile. Iniziamo dai viaggi…
C: “Ho iniziato a viaggiare con i libri, quando ancora ero molto piccola. Mi sono innamorata del Cile a bordo della Poderosa II insieme a El Che, della Patagonia di Chatwin e appena ho potuto sono partita anch’io, senza fermarmi più. Ho passato quasi tutta la vita da esterofila, perdendomi tra le salite di San Francisco, dormendo in tenda o in una 4×4 in Namibia, in Kenya, in Tunisia, mangiando chilometri su due ruote per i Balcani, in Grecia. Poi di colpo ho ritrovato uno sguardo sull’Italia che non mi ha più abbandonato. Negli ultimi quattro anni ho riscoperto un Paese fatto di dettagli a me carissimi, di cittadine che apparentemente non avevano nulla da dare e dove invece io ero a caccia di qualcosa che mi catturasse e che ribaltasse la sua stessa narrazione. Nonostante mi conceda qualche viaggio all’estero – sono appena tornata da un bel viaggio in Marocco – la mia attenzione è meno concentrata sul bello evidente e più sul bello nascosto.”

Invece, passando al tema cucina, cosa significa per te mangiare bene? E che relazione vedi tra le lotte per la sostenibilità ambientale e l’alimentazione?
C: “Il cibo per me è sempre stato una questione seria. Mangiare è una delle mie attività preferite e le storie legate al cibo mi affascinano molto. Sono cresciuta in Toscana a ragù di cinghiale e patè di fegatini, ma nell’aprile 2021, dopo aver visto un documentario – il primo di una lunga serie, poi – mi sono chiesta se volessi davvero, anche io, contribuire a distruggere, ad avvelenare e sfruttare in questo modo una Terra che a me invece aveva regalato così tanto. In realtà, all’inizio, mi sono posta una sfida: un mese plant based, quindi zero carne, zero pesce e zero derivati. Poi si vedrà. E invece non sono più riuscita a tornare indietro. Mi sentivo fisicamente molto meglio, i miei allenamenti erano migliorati, così come i valori delle analisi del sangue. E allora, senza mai impormi di non poter cambiare idea, ho continuato a scegliere ogni giorno di rispettarmi e di rispettare. Sono passati quasi due anni e non ho ancora mai avvertito la mancanza della carne o degli altri derivati animali. Per me era impensabile, eppure credo ancora che non ne valga proprio la pena. Ma mangio di gusto, tutto il resto, tanto quanto prima. Siamo troppo condizionati da una narrazione sbagliata del mondo vegan, o plant based, che ce lo fa associare a una scocciatura, a una moda fricchettona, alla debolezza fisica, all’intransigenza di chi giudica i piatti degli altri. La verità è che il mondo vegetale ci è molto più vicino di quello che crediamo e che coloro che hanno più contatto con la terra, come molti dei nostri nonni, sanno meglio di tutti quanto la natura abbia i suoi ritmi e le sue proporzioni. Mentre a noi basta scendere al supermercato per toglierci uno sfizio, senza che questo comporti il minimo sforzo, né alcuna domanda. Ecco, io credo che anche alla luce di ciò che sappiamo della crisi climatica, dovremmo tornare a rispettare quei cicli naturali per quanto ci è possibile, perché non ci rendiamo conto che noi esseri umani non siamo i più potenti, siamo solo una piccola parte della stessa Terra che stiamo massacrando.”

Andiamo, invece, a parlare anche del tuo dramma personale. Ti sei trovata poco più che ventenne improvvisamente senza un padre, ma la vicenda legata alla sua morte ancora è una battaglia che per te continua. Come si sente una persona in balia di una situazione come la tua? Esistono forme di sostegno psicologico o anche pratico che lo Stato offre a chi vive queste situazioni?
C: “Credo che nella vita non si possa scegliere tutto. E che certe cose ci capitano e basta, senza un perché. Possiamo solo decidere come reagire, in cosa trasformare ciò che ci accade. Io non ero affatto pronta, né a perdere un padre, né alla battaglia che mi stava aspettando, ma non ho avuto alternative ed è stato più forte il senso di Giustizia che avevo ben chiaro dentro di me. Ho dovuto mettere da parte il calore del suo ricordo e chiudere il dolore profondo a chiave, per poter intraprendere con lucidità un percorso pieno di ostacoli che in un modo ideale nessuno dovrebbe mai iniziare. Con il passare degli anni non mi sono fortificata, anzi, forse mi sono indebolita quando sono andata a riaprire quella porta e certe emozioni si sono presentate insieme a chiedere il conto. Ma con tutte le forze che ho, non farò un passo indietro, perché purtroppo non ci sono sostegni a cui aggrapparsi: solo la tenacia, la propria morale e sicuramente, da molti anni a questa parte, la solidarietà di tante altre persone a darci forza. “


A David Rossi hai dedicato il libro edito da Mondadori “Se tu potessi vedermi ora”, che riassume la tua battaglia per la verità, ma è anche un omaggio a lui come persona. David tra l’altro era un padre acquisito, per cui la tua lotta si fonda su un legame non di sangue, ma di vero amore per lui. Com’era a livello umano?

C: “La mia è una famiglia molto unita, ma particolare, perché ho 4 genitori da quando sono piccola. Dopo la separazione i miei si sono entrambi risposati e io ho avuto la fortuna di avere doppio amore. David era colui che ispirava e nutriva la mia natura di narratrice, prima nella scrittura, poi nel giornalismo. David era per me un maestro, di quelli che soffri un po’ e  di cui hai grande ammirazione. Era un uomo molto riservato, silenzioso ma con un’ironia spiazzante. Parlava poco ma quando lo faceva c’era davvero da prendere carta e penna. Il mio libro non è un racconto di inchiesta, piuttosto un racconto familiare di ciò che è accaduto. Per me era necessario restituire a David dei tratti umani, un tono di voce, delle passioni e degli aspetti del suo essere sensibile e geniale che i giornali non potevano conoscere. C’è tanto David in quelle pagine, ma c’è anche una Carolina che cresce con e senza di lui. Ciò che tiene insieme tutto quello che faccio è la Giustizia. Per David, per la nostra storia, sì, ma anche per le storie degli altri e quelle legate al Pianeta.”

Torniamo a te come Carolina Orlandi e non come figlia di. Quali sono i tuoi progetti futuri? E che consigli vorresti dare ai giovani come te che vogliono provare a realizzare i propri sogni senza dover scappare dall’Italia?
C: “Io sono una narratrice nella vita ma anche di mestiere, il che mi porta a lavorare in tanti ambiti diversi che hanno a che fare con le storie e con il modo di comunicarle. Ho scritto un libro, ma anche una guida turistica, ho lavorato in tv per programmi giornalistici sia dietro che di fronte alla telecamera. Continuerò sicuramente a scrivere, che la mia prima esigenza, che credo ancora una volta avrà la forma di un libro. Ma non smetterò di lanciarmi in progetti audiovisivi che possano insegnarmi sempre cose nuove e mi diano la possibilità di fare ciò che più amo: raccontare. Il male più grande per la nostra generazione è la convinzione che si debba essere una cosa sola. Possiamo essere e fare tutto ciò che siamo, in tante forme che non per forza devono trovare una coerenza comprensibile a tutti gli altri.
L’Italia è piena di storie, molte sono meravigliose, altre terribili, ma anche per questo c’è bisogno di tornare. Perché le cose si cambiano da dentro, non prima – certo –  di aver visto cosa c’è là fuori.”

L’intervista è finita e noi ti ringraziamo davvero. Continueremo a seguire i tuoi viaggi e i tuoi consigli culinari, ma anche a seguire la tua battaglia. Perché tutti vogliamo un Paese dove, in futuro, le parole giustizia e verità possano finalmente essere sinonimi.


Mattia Gelosa

Garantire la giustizia è uno dei 17 obiettivi dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile

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